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Il Quiet Quitting, in controtendenza alla “hustle culture”, ovvero il mito di matrice americana che spinge le persone a dedicare la loro vita al lavoro, non ha nulla a che vedere con la pigrizia, bensì è una risposta di insofferenza temporanea alla frustrazione lavorativa che porta a sempre più frequenti episodi di burnout (esaurimento nervoso da stress). C’entra la mancanza di soddisfazione professionale, l’esigenza di sentirsi capiti nel contesto lavorativo, il bisogno di bilanciare la propria vita in maniera più equilibrata con la sfera privata oltre ad un ripensamento della cultura lavorativa avvertita come totalizzante.
Il Quiet Quitting potrebbe infatti manifestarsi come “cinismo o apatia” dei dipendenti nei confronti del lavoro, che preferiscono rimanere in silenzio piuttosto che condividere suggerimenti e nuove idee.
Secondo il report “State of the global workplace 2022” di Gallup, una società americana di analisi e consulenza, in Europa solo il 14% dei dipendenti è davvero coinvolto nella propria attività lavorativa, in Italia invece solo il 4% dei lavoratori si dichiara entusiasta del proprio lavoro: la media più bassa tra i 38 Paesi presi in considerazione.
Quello che manca, è la prospettiva di stabilità o avanzamento di carriera, ma soprattutto manca un coinvolgimento emotivo, motivo per cui un lavoratore preferisce tirarsi indietro e spendere le proprie energie in altro, che sia un hobby o la semplice quotidianità.
Sono soprattutto i giovani a non essere più disposti a fermarsi in ufficio o tenere il pc acceso per fare straordinari (anche retribuiti), portare avanti progetti durante i weekend o, più in generale, a farsi carico di responsabilità che vanno oltre le attività che competono loro. Dimostrare ai datori di lavoro di portare valore aggiunto all’azienda e di contribuire a incrementare la qualità dei servizi offerti non è più così importante. Una conferma in più che per gli appartenenti alla Generazione Z il denaro potrebbe non essere sempre la priorità principale sul lavoro o che, quanto meno, non sarebbe paragonabile alla possibilità di avere più tempo a disposizione da dedicare a sé stessi. Questo è un cambiamento significativo rispetto agli anni pre-pandemia.
Sebbene sembri che il Quiet Quitting sia un orientamento esploso di recente, in realtà non ha niente di rivoluzionario: durante il lockdown, lo smart working ha concesso maggiori responsabilità nella gestione di lavoro per obiettivi da raggiungere; finita la pandemia, molte aziende sono tornate alla gestione dell’attività lavorativa originale, limitando le giornate di lavoro a distanza o rimettendo tutto ai capi.
Molti lavoratori a quella maggiore autonomia si erano abituati e ora non riescono ad accettare di sentirsi levate responsabilità e indipendenza. I capi questo faticano a capirlo.
Un’indagine condotta da Harvard Business Review esamina il Quit Quitting da una prospettiva differente secondo cui l’”abbandono silenzioso” pare non riguardi tanto la volontà (o meno) dei dipendenti di lavorare di più e con maggiore (o minore) affezione verso le attività che svolgono, quanto piuttosto la capacità di un Manager di costruire un rapporto con gli impiegati che non li porti a contare i minuti che li separano dall’uscita dall’ufficio.
Dall’analisi dei dati relativi al 2020 su 2.801 manager è emerso che la volontà dei dipendenti di fare il minimo indispensabile era più diffusa in quei contesti in cui i capi non erano in grado conciliare gli obiettivi di business con le esigenze e le priorità degli impiegati; al contrario il fenomeno era molto meno presente in realtà lavorative in cui c’era più empatia e complicità tra manager e dipendenti.
Si aggiunge così un nuovo elemento che le direzioni HR e i manager dovranno tenere sotto controllo. Come sempre rafforzare la cultura d’impresa e condividere il giusto mindset sono un buon punto di partenza per gestire la situazione al meglio. Ragionare per obiettivi – e non per compiti da completare entro la giornata – e offrire delle prospettive di crescita gratificanti aiuta le persone ad affrontare le ore di lavoro in modo diverso e a sentirsi più motivate e coinvolte.
I manager dovrebbero fare di tutto per mantenere un dialogo aperto, costante e costruttivo con le persone. Un approccio di continuo feedback si rivela vincente anche per mantenere alti i livelli di engagement e fare in modo che i collaboratori si sentano veramente parte dell’organizzazione. Si tratta di sapersi “allineare” sugli stessi obiettivi così da riuscire a condividere una vision comune e far sì che non si debbano svolgere compiti e mansioni “che non spettano”.